Nel 1610, per i tipi dello stampatore ed editore di musica veneziano Ricciardo Amadino (fl. 1572-1621), Claudio Monteverdi (1567-1643) pubblicò la Missa In illo tempore congiuntamente al Vespro della Beata Vergine: «Sanctissimæ Virgini Missa senis vocibus ac Vesperæ pluribus decantandæ cum nonnullis sacris concentibus (…) opera a Claudio Monteverde nuper effecta ac Beatiss. Paulo V Pont. Max. consecrata». Una copia di questa stampa è conservata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (Cappella Sistina, Ms. 107) con lo stemma del Pontefice fatto decorare dallo stesso Monteverdi; la composizione è presente anche in una raccolta di messe a sei e otto voci stampata ad Anversa da Pietro Falesio nel 1612.
Con la consapevolezza di trovarci di fronte a un meraviglioso affresco musicale, che manifesta tutta la capacità creativa di Claudio Monteverdi, il quale si impone quale sperimentatore di nuovi linguaggi musicali, giustifica l’accostamento di quest’opera con quella, altrettanto innovativa e sperimentale, di Gianvincenzo Cresta: De l’Infinito.
Con De l’infinito Gianvincenzo Cresta continua la sua ricerca compositiva di una musica in cui una profonda conoscenza della tradizione del passato si salda con una sensibilità iscritta in una modernità assimilata attraverso la lezione dei grandi maestri italiani novecenteschi e contemporanei: Berio, Nono, Sciarrino. Mantenendo però una personalità stilistica nettamente definita. Tutte le tecniche e i procedimenti – antichi e moderni – non intendono rinviare a modelli stilistici, posti come sono al servizio della costruzione di un mondo, di un universo sonoro, che nel caso specifico riflette l’elaborazione poetica e speculativa di un grande visionario che pagò con la vita la fedeltà alle proprie convinzioni.